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indice del n. 205 gennaio 2024

Editoriale​  

Ricerche e approfondimenti

La chitarra Mozzani di Segovia: una vicenda chiarita?

di Marco D’Agostino (seconda parte)​

 

I concerti di Francisco Tárrega (1892-1909) a Barcellona e dintorni

di Josep Ma Mangado (seconda parte)​

 

L’ansia da palcoscenico

di Jacopo Figini​

 

“Mon très admiré Villalobos”. La corrispondenza tra AndrésSegovia ed Heitor Villa-Lobos. Addenda

di Frédéric Zigante​

 

Il quaderno di Evangelina

Bach dal basso

di Evangelina Mascardi​

 

Memorie di un chitarrista errante

Don Chisciotte, Dulcinea... e una chitarra

di Giulio Odero​

 

Recensioni

Libri ​

Musiche ​

Dischi ​

Corsi e concorsi


Europe € 15.00

Rest of the world € 17.00


index n. 205 January 2024

Editorial

Studies and research

Segovia’s Mozzani guitar: a question clarified?

by Marco D’Agostino (second part)

 

The concerts of Francisco Tárrega (1892-1909) in Barcelona and its surroundings

by Josep Ma Mangado (second part)​

 

Stage fright

by Jacopo Figini​

 

Mon très admiré Villalobos”. The correspondence between Andrés Segovia and Heitor Villa-Lobos. Addenda.

by Frédéric Zigante​

 

Evangelina’s Notebook

Bach from the bass line

by Evangelina Mascardi​

 

Memories of a wandering guitarist

Don Quixote, Dulcinea... and a guitar

by Giulio Odero​

 

Reviews

Books ​

Scores​

Recordings ​

EDITORIALE

Vi siete mai chiesti come avrebbe fatto Andrés Segovia a mantenere i rapporti con tutti gli amici, compositori, colleghi, conoscenti se il servizio postale di allora fosse stato come quello di oggi? Noi ce lo chiediamo ogni volta che ci troviamo di fronte ad articoli basati sulla corrispondenza di Segovia e ogni volta che riceviamo telefonate o mail di persone che hanno acquistato numeri arretrati e li aspettano da settimane. Questa premessa si deve al fatto che in due degli articoli che pubblichiamo in questo numero le lettere di Segovia hanno un ruolo da protagonista. Nel primo caso si tratta della seconda puntata dello scritto di Marco D’Agostino sulla chitarra Mozzani che il chitarrista aveva ordinato e portato con sé negli Stati Uniti nel 1937. Nel numero precedente abbiamo visto Segovia durante uno dei peggiori periodi della sua vita, se non il peggiore: quando, nell’estate del 1936, era scappato da Barcellona lasciando indietro tutto quanto possedeva eccetto la sua vecchia Manuel Ramírez che iniziava a mostrare segni di affaticamento. Ora lo troviamo nel 1937, pronto a scegliere una delle quattro chitarre preparate da Mozzani per portarla con sé oltreoceano dove lo attendevano già diversi concerti. Vedremo com’era fatta la chitarra, la scheda preparata da Mozzani, la corrispondenza intercorsa tra Segovia, il liutaio, diversi aspiranti acquirenti statunitensi, cui Segovia aveva raccomandato il liutaio modenese. Infine vedremo la chitarra stessa, ritrovata e messa all’asta solo recentemente.  

Il secondo articolo è il completamento della corrispondenza di Segovia con Heitor Villa-Lobos che era apparsa sul numero 200 a cura di Frédéric Zigante. Due lettere, veramente importanti e interessanti, che risalgono al 1955 e che ci fanno conoscere un Segovia all’apice della propria carriera, con una quantità tale di impegni da fargli perdere il sonno; è stanco del rapporto burrascoso con Olga Coelho e desideroso di offrire un’estate indimenticabile alla figlia diciassettenne Beatriz che lo ha raggiunto in Europa per il suo primo viaggio al di fuori dell’area rioplatense. Lo stile delle lettere è confidenziale e ci fa capire come il rapporto con Villa-Lobos si era evoluto rispetto ai primi tempi della loro conoscenza.

Continua la ricerca che Josep Mangado ha dedicato all’attività concertistica di Francisco Tárrega a Barcellona e dintorni. In questa puntata troviamo un Tárrega trentenne, padre di famiglia, che dopo una serie di successi a Barcellona decide di trasferirsi stabilmente nella capitale catalana. Grazie alle recensioni dei concerti possiamo vedere come iniziava a cambiare la percezione della chitarra da parte dei critici: da strumento povero diventa strumento difficile. Scopriamo che l’ambizione di Tárrega era far “parlare la chitarra in tedesco”. Incredibile – vero? – se si pensa che si tratta del padre della chitarra moderna spagnola. Ma vediamo che in quel periodo egli condivideva i concerti con Isaac Albéniz: evidentemente pensava di dover dimostrare che anche lui era in grado di eseguire gli stessi autori con il proprio strumento. Del ricordo di Sor nella propria città natale non vi è traccia. La storia della chitarra pare ricominciare da Tárrega.

Grazie a un nuovo collaboratore, Jacopo Figini, affrontiamo per la prima volta un argomento che riguarda da vicino molti musicisti: l’ansia da palcoscenico. L’articolo – nato da una tesi, frutto del corso di «Metodi e trattati» – ci presenta alcuni testi fondamentali che trattano questo argomento e il modo in cui lo affrontano i diversi autori, inclusi i consigli di alcuni chitarristi. Infine Figini presenta e spiega sinteticamente alcuni concetti, meccanismi e strategie di ambito fisiologico e psicologico che possono essere di aiuto per comprendere come nasce il problema e trovare un approccio risolutivo. L’ansia da palcoscenico ha cause e manifestazioni differenti per ogni persona e quindi le soluzioni non possono che essere «personalizzate»; essere informati, però, è una necessità uguale per tutti.

Dopo un’assenza nel numero precedente, Evangelina Mascardi è di nuovo presente con il suo «Quaderno»: Bach dal basso, un titolo che incuriosisce, con un doppio senso che trova soluzione nella lettura, sempre stimolante, delle idee proposte da Evangelina.

Nel presentare la nuova rubrica «Memorie di un chitarrista errante» avevamo detto che Francesco Biraghi non intendeva tenere per sé l’esclusiva e che la porta è aperta a chiunque abbia da raccontare un episodio interessante occorso durante la propria carriera. Quindi, dopo due puntate biraghiane, ecco qui il racconto esilarante di un’esperienza vissuta da Giulio Odero presso il Teatro Carlo Felice di Genova.

Per quanto riguarda l’attualità, vorremmo parlarvi delle Corde d’Autunno, un’iniziativa che sta diventando sempre più ricca e complessa regalando ai chitarristi milanesi, e non solo, una preziosa occasione di incontro, ascolto, convivialità e informazione. Sulla seconda di copertina abbiamo offerto lo spazio a Marco Ramelli, l’ideatore del Festival, per spiegare la visione che ha fatto nascere le «Residenze erranti», cosa significano e come partecipare. Abbiamo usato il termine «visione» non a caso. La visione è quella che è mancata negli ultimi decenni dal nostro mondo chitarristico che sta diventando sempre più stretto. La rinascita della chitarra si deve a persone che hanno avuto una visione e l’hanno perseguita con tutte le proprie forze. Pare che da una ventina d’anni l’orizzonte si sia ristretto. Se non c’è un risveglio, una rianimazione dell’ambiente, la situazione non può che peggiorare. Chi cerca di mantenere vive delle iniziative – parliamo anche di noi – non può che scoraggiarsi per la mancanza di interesse della giovane generazione. Per chi stiamolavorando?

Ma abbiamo divagato. Stavamo parlando di Corde d’Autunno, il festival articolato in più fine settimana durante l’anno e con sedi sia a Milano che a Padova. Noi abbiamo frequentato il weekend 24-26 novembre. Tra conferenze, incontri, lezioni, prove di chitarre e concerti, sono state giornate di full immersion, interessanti e piacevoli. Molto stimolante l’incontro con i maestri liutai (andando a memoria, Bottelli, Carbone, Locatto, Lodi) e la possibilità di conoscere da vicino importanti chitarre storiche e moderne (progetto Touch the sound). Con l’eccezione dei concerti, naturalmente, tutte gli altri eventi davano la possibilità di parlare e scambiarsi delle idee. Interessanti i concerti serali, preceduti dalle presentazioni dei progetti dei giovani artisti selezionati dalle «Residenze erranti». I concerti di SoloDuo e del Volterra Guitar Project sono stati improntati al virtuosismo che deriva dall’esecuzione di trascrizioni: ponderato e riflessivo quello dei primi, divertito quello del trio. Necessario e inevitabile il ricorso alle trascrizioni quando si tratta di un trio di chitarre, un po’ meno quando si tratta di un duo... ma la bravura fa perdonare tutto. Infine, ha chiuso le tre intense giornate Elena Càsoli con un progetto dedicato a Sylvano Bussotti che prevedeva l’esecuzione dal vivo di Ermafrodito e la proiezione del (multipremiato) film Sypario (regia di Fabio Selvafiorita con la collaborazione di Rocco Quaglia), geniale traduzione visiva e sonora di quindici «sigle sceniche» create da Bussotti per introdurre altrettanti spettacoli del Bussottioperaballet durante il Maggio Fiorentino del 1976. Si è inserito tra i due momenti bussottiani Giulio Petrella con il suo gruppo (selezionato dalle «Residenze Erranti») in maniera del tutto naturale, visto anche l’aspetto scenico/teatrale che accomunava i due progetti. Non sappiamo dirvi la durata dell’intero programma, ma è stato seguito in un silenzio religioso, senza neanche un colpo di tosse. Si tende a sottovalutare il pubblico e a pensare che bisogna propinargli a tutti i costi musichette per accontentarlo: sbagliato. Elena Càsoli, nella sua carriera più che trentennale, ha sempre dimostrato che se si ha visione, immaginazione e fede incrollabile al messaggio che si vuole trasmettere, il pubblico è più che pronto ad accogliere e apprezzare, a interrogarsi e ad aprirsi a esperienze nuove. Chapeau!